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Perché Google è disonesto

La pubblicità on-line è fraudolenta.

Ho provato i due servizi più diffusi con i medesimi risultati: dopo un paio di mesi, Google Ad Sense blocca il mio account prima del pagamento perché «faCCebook.eu è un sito rischioso» mentre Heyos risulta off-line per «problemi ai server» e sospende il servizio fino ad una futura comunicazione.

Però, nel tempo di utilizzo, ho dato spazio agli annunci pubblicitari generati dai due colossi americani ingrassando i loro già obesi introiti.

Lo scrivente, invece, non ha visto un centesimo.

Sergey Brin e Larry Page gli ideatori di google il padrone incontrastato della pubblicita on-line

Il subdolo principio

L’ingiustizia risiede proprio nel cuore della pubblicità on-line.

I guadagni (milionari) riempono le casse dei gestori (Google e Yahoo! su tutti) grazie alle commissioni corrisposte dagli affiliati al servizio ma le società del pay for click versano all’espositore (il sito che ospita il banner) la dovuta percentuale solo se un utente clicca sull’annuncio visualizzato.

L’inganno

Chi accetterebbe di installare gratis un cartellone pubblicitario sul balcone di casa?

Immaginiamo di stipulare un contratto con un supermercato.
Il partner commerciale reclamizzato ci verserà una piccola cifra per ogni individuo (distinto) che gli mandiamo (in pratica, verremo pagati per «persone uniche» cioè un visitatore che entra due volte nel negozio ci farà guadagnare solo al primo ingresso).
Inoltre, la controparte potrà scindere il contratto in ogni istante senza fornirci spiegazioni.
Stabilirà il tributo da versare in base alla «qualità» dell’esposizione (ad esempio, ci pagherà di più se abitiamo in un quartiere rinomato oppure se il balcone è sopra una strada trafficata, valuterà anche se il visitatore mandato è un buon acquirente, un disonesto oppure una persona antipatica …).

Lui – e solo lui – è il giudice supremo senza appello.
A noi tocca solo esporre il cartellone, avere fiducia nelle buone intenzioni del nostro partner ed attendere di riscuotere l’eventuale compenso.

Questa è la severa legge imposte da Google (e affini).

A queste regole, ospitare banner pubblicitari sul proprio sito è da fessi.

Ed io non sono fesso.

Mi dica pure (un commento non si nega a nessuno)

Il navigatore tuttologo

Il mondo dei social network, tramite il coinvolgimento attivo dei propri iscritti, genera mode, crea tendenze e decreta il successo oppure il fallimento di una qualsiasi iniziativa.

Nel we2.0 il navigatore è una risorsa da sfruttare, un cliente al quale estirpare un commento, l’esperto in ogni settore pronto a sparare opinioni sui temi d’attualità, una recensione sull’opera teatrale oppure sul premio Oscar, un consiglio sul piatto tipico del Bangladesh, un giudizio sulla politica estera del Pakistan ed un voto nel sondaggio del giorno per stabilire la miglior carta igienica in circolazione.

A dispetto dell’iperattività del tuttologo virtuale, restiamo inermi difronte alle sentenze dei motori di ricerca.

Fiducia cieca in Google

Da internauti ingenui, demandiamo a Yahoo! e compagni la navigazione, ci fidiamo delle risposte, raramente eseguiamo controlli incrociati sui risultati di una ricerca.

Come dei bambini presi per mano dalla mamma, davanti a Google diveniamo adulti sempliciotti privi di senso critico, persone assuefatte, percorriamo l’unica strada possibile.

Consegniamo le chiavi dei nostri pensieri e nudi attendiamo felici di essere condotti.

L’ecosistema necessita degli escrementi

Ma, come la Natura insegna, l’equilibrio di un ecosistema necessita anche degli escrementi del più miserevoli dei parassiti ed il nobile principio vale pure nell’iperspazio.

Difatti, il compito del tuttologo – a sua insaputa – è fondamentale per ristabilire la democrazia della Rete: nonostante non indaghi mai sulla veridicità della fonte di una notizia, l’incauto mitraglia di commenti qualsiasi pagina gli capiti a clic e la spazzatura generata permette la diffusione di notizie dirette saltando i filtri imposti dagli avanzatissimi algoritmi dei motori di ricerca.

Per alimentare questo processo di giustizia sociale (basato sull’entropia), da oggi anche su faCCebook sarà possibile lasciare un commento utilizzando il proprio account facebook, la madre dei tuttologi social.

Trovo questa innovazione – figlia dei nostri tempi – davvero interessante.
Concordi?


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Whatsapp ed il meritato rinnovo (annuale)

Il mea culpa

Chi è coerente scagli la prima pietra.
Io non lo sono e difatti, se necessario, cambio idea senza rancore.

L’ennesimo spunto proviene dal tanto discusso Whatsapp, il famoso programma per smartphone che – di fatto – manda in pensione i vecchi e cari (nel senso di costosi) sms.

Il Lettore affezionato mi rinfaccerà: «ma come, ne avevi cantate di cotte&crude su Whatsapp!
La prigione dei dati personali, l’app senza spina dorsale, il mistero del prezzo del rinnovo da scoprire dopo un anno (forse) … »

E’ vero: la Rete non dimentica e le mie passate dichiarazioni possono essere usate contro di me. Basta cercare “whatsapp” nel sito ed i vecchi post emergeranno dalle viscere della Rete condannandomi senza appello.

Prima di darmi del voltagabbana, però, in mia difesa aggiungo candido: sono un informatico!

Whatsapp, un meritato rinnovo (annuale)

Perchè rinnovo Whatsapp

Sviluppare software non è forse un esempio di arte moderna?
Far comunicare milioni di persone a costo zero in modo semplice e funzionale non è un’azione da elogiare ed incoraggiare?

Quando la tecnologia va veramente incontro al consumatore di massa perché é l’utente stesso a decretarne il successo o il fallimento, gli autori (artisti) vanno meritatamente premiati e l’unico strumento che noi fruitori abbiamo per ringraziare Brian Acton e Jan Koum, i due ex programmatori Yahoo! creatori dell’app, è pagare loro i 70centesimi richiesti.

Il merito va riconosciuto

Come il sottoscritto e gli altri milioni di persone sparsi per il globo: spiccioli per ogni singola persona, una ricca “medaglia” per i due giovanotti americani.

L’idea della correttezza del pagamento risulta ancora più forte se si pensa alle tante alternative disponibili: da LINE a WeChat giusto per citare le ultime novità addirittura pubblicizzate in televisione con testimonial d’eccezione (Lionel Messi per WeChat).

Eppure il successo di Whatsapp persiste.
A buon diritto aggiungo io, almeno per un anno poi alla prossima scadenza valuterò.

Nell’era di Internet, 365 giorni è una promessa di fedeltà che si concede per pochi, validi motivi … poi tutto torna nuovamente in discussione, anche l’efficienza (attuale) di Whatsapp.


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