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Tag: violenza

La piccola Noemi e quel killer spietato: quale futuro?

Come recuperare uno spietato killer?

Immagino il giorno (spero prossimo) dell’arresto del sicario coinvolto nel folle raid in piazza Nazionale a Napoli lo scorso 3 maggio.
Il «mostro» che, nel video choc, dopo gli spari scavalca il piccolo corpo di Noemi riverso sull’asfalto.

Per questa belva, quale possibile futuro immagino?

La Giustizia segue il suo corso, il killer imprigionato in un carcere di massima sicurezza, una vita al 41bis con la chiave smarrita appena chiusa la cella.
Privato della libertà, esiste una minima possibilità affinché il «mostro» (ri)diventi un essere umano?

Il killer che ha colpito la piccola Noemi

Lo scopo della galera

La prigionia ha il solo compito di difendere la società civile da un pericoloso assassino?
Oppure, la solitudine della galera può far rinascere un briciolo di umanità anche in uno spietato killer di camorra?

Ragionamenti a voce alta, privi di una conclusione razionale.
Perché proprio non immagino a quale futuro aspiri quel maledetto «mostro».
Può un uomo continuare a vivere con un tale macigno sulla coscienza?
(ma avrà una coscienza?)

Solo domande.
E preghiere per Noemi.
Affinché guarisca, torni ad una spensierata quotidianità insieme alla sua famiglia.

Per il «mostro», invece, non intravedo nessuna via d’uscita.
Né dalla prigione.
Né, tantomeno, dal pozzo nero nel quale è precipitato.


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«La paranza dei bambini» di Roberto Saviano: nella mente dei baby-boss [RECENSIONE]

La paranza dei bambini: il fascino del Male

La paranza dei bambini di Roberto Saviano affascina.
Il romanzo porta il lettore nella testa dei giovani camorristi di Forcella per descrivere i ragionamenti, le motivazioni, le aspirazioni dei baby delinquenti del centro storico di Napoli.

Molte vicende ricordano tristi fatti di cronaca registrati durante le faide degli ultimi anni.
Saviano, però, racconta tale violenza dall’interno: la prospettiva di chi sogna ricchezza e potere a colpi di kalashnikov.

Vicende apparentemente assurde presentano motivazioni che, per i baby delinquenti, rispondono ad una logica.

Stazione centrale, ore cinque del mattino: extracomunitari in attesa dell’autobus colpiti da un gruppo di giovani in scooter con mitragliatrici e pistole?
Una semplice esercitazione della baby gang che si addestra con la nuova santabarbara, regalo di un boss agli arresti domiciliari.

– Che sta dicendo?
– Ha detto che non ha fatto niente – disse Nicolas senza esitazione.
– E chillo nient’ha fatto, il povero pocket coffee – disse Lollipop – però ci serve nu bersaglio , no?
Accelerò il motorino e gli si avvicinò all’orecchio:
– nun tieni colpa e niente pocket coffee, si solo nu bersaglio […]

Roberto Saviano, "La paranza dei bambini"

Il valore di una vita

Il merito di Saviano è evidente: spiegare le paradossali dinamiche celate dietro l’ascesa violenta della baby gang.

La lettura spaventa ma risulta necessaria per comprendere i valori inversi di queste giovani belve.

Oggi ci stammo, domani non ce stammo.
T’o rriccuord? Amico, nemico, vita, morte: è la stessa cosa.
‘O ssapimmo nuje e lo sai pure tu. Accussì è. E’ n’attimo.
E accussì che se campa, no?

Il romanzo fa riflettere.
E descrive la secolare malattia che affonda nelle radici di un pezzo di città.

Un male incurabile?
E come ripristinare i giusti ideali?

Chiudo il libro con un amaro interrogativo: un giovane delinquente di quattordici anni, è davvero già irrecuperabile?

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Silvia Ruotolo, la tragedia che la storia non spiega

Silvia Ruotolo, giovane mamma

«Silvia Ruotolo
(1958 – 1997)
vittima innocente della barbarie camorristica»

La targa a Piazza Medaglie d’Oro – nel centro del Vomero, quartiere collinare di Napoli – mi lascia esterrefatto.
A pochi metri, dei giovani bivaccano nel campo di basket mentre, al lato opposto, dei cani corrono felici nell’«area di socializzazione» a loro dedicata.

Una piazza con diverse anime, un mix tra il ricordo della tragedia e la necessità di andare avanti.

Quante volte sono passato?
Di corsa, per shopping o per una passeggiata.
Mai soffermato a leggere la drammatica storia, l’intensità delle parole, la tragedia consumata.

Piazza Medaglie d'Oro, la targa dedicata a Silvia Ruotolo, vittima innocente della barbarie della camorra

Silvia Ruotolo, la fondazione

La vicenda è nota a tutti e documentata con emozione sul sito della Fondazione Silvia Ruotolo.

Leggere la cronaca colpisce ma guardare da vicino la targa dedicata alla giovane mamma resta una ferita dolorosa per chiunque.
Anche dopo vent’anni.

Indignazione, rabbia, vergogna: perché tanta ferocia?
Quale follia spinge un uomo a sparare all’impazzata per strada contro un altro uomo?

La fondazione Silvia Ruotolo ricorda la tragedia della giovane mamma

Anni ottanta, l’inizio delle sparatorie

Consulto Storia della camorra di Vittorio Paliotti, un testo fondamentale per comprendere le dinamiche della camorra, il cancro della nostra terra.

Cerco una spiegazione impossibile tra le pagine di Storia.

Il capitolo dedicato alle vittime innocenti di camorra cita gli anni ottanta come inizio delle violenze.
Gli scontri a fuoco tra i clan avvengono per strada, per punire i rivali, per conquistare piazze di spaccio, per ribadire la superiorità.

La pagina Wikipedia dedicata alle yittime innocenti della camorra parte proprio dagli anni ottanta.
Un elenco infinito di nomi, un elenco infinito di dolore.
Ogni nome una storia, ogni storia una tragedia inaccettabile.

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La zummpata, il duello all’arma bianca (1500)

Spiega Vittorio Paliotti: i camorristi – membri della Bella Società Riformata, l’organizzazione criminale che per quattro secoli ha taglieggiato Napoli (dal 1500 al 1912, poi annientata nel famoso e discusso processo Cuocolo) – da sempre usavano sfidarsi in duelli all’arma bianca.

La zumpata, rito di iniziazione, combattimento rusticano per stabilire chi comandava, avveniva in un luogo pubblico (1500).
Armati di pugnale, il duello tra camorristi promuoveva l’avanzamento di grado nella gerarchia criminale, risolveva discussioni, sentenziava la verità tra i litiganti.

Il passaggio dal pugnale alla pistola si consumò nel XIX secolo ma l’utilizzo di un’arma da fuoco avveniva – a differenza della zumpata – in un luogo solitario.

Sembra di follia dibattiamo ma, almeno, i passanti erano tutelati.

La Storia (non) insegna

Bastano due minuti.
La pagina Wikipedia dedicata alla guerra di camorra degli anni 70 lascia sbigottiti.
Servizi segreti, pentimenti, brigate rosse, suicidi ed omicidi, vendette ed esecuzioni, una scia di sangue inimmaginabile.

A leggere la cronaca ci si scandalizza.
Guardare Silvia negli occhi, invece, suscita rabbia ed emozione.
Anche dopo vent’anni.

La domanda è priva di risposta: perché accade?
La Storia spiega ma la realtà resta inaccettabile.


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FIGC: Federazione Italiana Guerra Civile

FIGC, è guerra civile in nome dello sport

Cosa accadrebbe in Italia se la domenica di serieA le forze dell’ordine non presidiassero stadi, stazioni, autostrade e tifosi ospiti?

Col pretesto della partita, i delinquenti scatenerebbero una vera e propria guerra civile.

Liberi di agire, frange estremiste di ultrà metterebbero a ferro e fuoco la nazione. Da nord a sud, eserciti opposti con i colori della squadra del cuore si affronterebbero sui campi di calcio trasformati in campi di battaglia.

Il gemellaggio tra le tifoserie sancirebbe l’accordo tra gli alleati, i derby i conflitti più violenti.
Personaggi incappucciati autori di raid contro negozi, banche e qualsiasi persona incrociata casualmente per strada.
Treni distrutti ed autogrill saccheggiati, tutto in nome della fede calcistica.

FIGC, Federazione Guerra Civile

La trasferta, pretesto per viaggiare

Questa cronaca è fantascienza oppure una possibile realtà?
Eppure, con uno sforzo onirico, immagino una versione alternativa.

La tifoseria parte con treni speciali, pullman ed auto private per giungere nella città dove gioca la propria squadra.

Una trasferta gioiosa, libera, colorata, priva della scorta dai carabinieri e dell’elicottero che – dall’alto – controlla e registra ogni passo degli ospiti.
La partita? Un pretesto per scoprire un’altra città italiana.

Il sogno e la dura realtà

Una visita al museo, un ristoro veloce gustando la specialità del luogo, ingenue schermaglie con i supporter locali e poi tutti a piedi allo stadio.
Polizia assente, steward gentili danno il benvenuto alla numerosa tifoseria straniera: ogni spettatore si accomoda al posto assegnato, il moderno impianto sportivo è confortevole ed adatto per tutti (bambini compresi).

A fine partita, in totale libertà, c’è chi ritorna a casa mentre i più fortunati prolungano la vacanza.

Ai più sembrerà la cronaca di un illuso abitante di Fantasylandia, eppure dovrebbe essere solo la normalità.


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Da Ivan il Serbo a Genny a carogna, il calcio non è uno sport

La follia del calcio

Oggi la prima pagina tocca a Genny a carogna, ieri il «mostro» portava il nome di Ivan il Serbo.

Ricordate il capo ultrà incappucciato che nell’ottobre 2010, salito sulle barriere divisorie dello stadio Marassi di Genova, guidò il lancio di petardi e fumogeni che portò all’annullamento della partita Italia-Serbia valida per le qualificazioni agli Europei di calcio 2012?

Follia ultrà: da Ivan il Serbo a Genny a carogna, il calcio non è uno sport

Le dichiarazioni sempre uguali

E’ utile rileggere le dichiarazioni dei massimi dirigenti sportivi e politici di allora.

Marta Vincenzi, Sindaco di Genova
«Chi li ha fatti entrare? Non è possibile distruggere un pezzo di città, oltre che portare un’ombra ancora più pesante sul calcio, per non aver saputo prevenire. Secondo me, è mancata a monte la capacità di individuare questi delinquenti […] e mi sono sentita dire che gli agenti erano lì ma che quelli erano dei delinquenti e si doveva evitare che finisse in tragedia. Ho capito che c’era una linea morbida per evitare la tragedia»
[fonte]

 

Renato Schifani, Presidente del Senato
«Quello che è accaduto allo stadio di Genova alla presenza di molti ragazzi e di una scolaresca, mostra il volto peggiore di un’Europa ancora troppe volte attraversata dalla violenza di chi rifiuta la civiltà, la dignità, il rispetto della persona».
[fonte]

 

Roberto Maroni, Ministro degli Interni
«Non ci sono responsabilità da parte della polizia italiana che, evitando di intervenire pesantemente, ha evitato una strage».
[fonte]

 

Platini, Presidente UEFA
«Sono rimasto choccato. Attendo i risultati dell’inchiesta e le decisioni della Disciplinare e ricordo a tutti che la Uefa segue una linea di tolleranza zero nei confronti della violenza degli stadi».
[fonte]

 

Blatter, Presidente FIFA
«Se l’Italia avesse seguito l’esempio del calcio inglese si sarebbero potuti evitare gli scontri di Genova»
[fonte]

… ed il presidente della FIGC

A titolo di cronaca, riporto anche la dichiarazione di Abete, Presidente FIGC, dopo la sospensione di Genoa-Siena (serie A, aprile 2012) per colpa degli ultrà locali che, con la squadra di casa sotto 4-0, provocano la sospensione di 45 minuti del match costringendo i giocatori rossoblù a togliersi la maglia disonorata.

«Quelle persone non sono tifosi, spero non mettano più piede in uno stadio»
[fonte]

La storia si ripete

Un incontro di serie A, una partita tra nazionali oppure una finale di coppa tra squadre di club: non c’è differenza, la miscela tra tifo violento e calcio è impossibile da dividere, dello sport non vi è più traccia.

Eppure, dopo la tragedia, agli ovvi quesiti («come hanno portato quelle bombe dentro lo stadio?» «Nessuno conosceva quel delinquente?») seguono sempre le stesse, ripetute, rituali parole istituzionali alle quali non corrisponde nessuna azione concreta.

Evidentemente in Italia la storia non insegna nulla.


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Juventus Stadium, se i bambini fanno «oh che me@d@»

La lezione mai dimenticata

Ricordo l’ora di Educazione Fisica alla scuola superiore come se fosse oggi: il buon professore – un tipo giovane ed atletico, baffo curato e sempre in tuta ginnica – giunge in classe con l’unica preoccupazione dell’appello.

Svolto l’iter burocratico, impartisce agli scolari (tutti maschi) il profondo insegnamento sportivo: dall’armadietto tira fuori il Super Santos e serafico annuncia: «andate a giocare nel cortile, non vi fate male. Ci vediamo dopo la lezione».

Due squadre di adolescenti incoscienti, gli zaini a fungere da pali delle porte immaginarie e palla al centro: sessanta minuti di puro divertimento sul campo d’asfalto sotto lo sguardo dell’integerrimo professore, un arbitro vigile tollerante per la prestazione ma pronto ad intervenire in caso di scorrettezze morali, un adulto seduto su una sedia da studente, rilassato si gode il sole (e lo stipendio).

A fine match, sudati e contenti, tutti a casa grazie ad un’organizzazione perfetta (dopo il triplice fischio del prof seguiva la campanella-TheEnd).

Lezioni d’altri tempi si dirà (e non c’è dubbio, sono trascorsi quasi trent’anni, che vetusto che sono!).
Oggi la scuola è cambiata (spero) e gli atteggiamenti non idonei al ruolo del docente sono inconcepibili (auspico): d’altronde, il mio professore di Matematica – tra un polinomio ed un teorema – fumava, un gesto che ora implicherebbe una denuncia immediata (mi auguro).

Juventus Stadium, se i bambini fanno «oh che me@@a»

Juventus Stadium, curva di bimbi razzisti?

Juventus-Udinese, la curva dello stadio è piena di tifosi-bambini: sostituiscono gli ultrà razzisti sospesi per comportamenti palesemente offensivi.

Al rinvio del portiere friulano, i pargoletti scimmiottano (ingenuamente) l’urlo tipico dei tifosi ufficiali, imitano il peggio del calcio italiano: l’offesa dell’avversario, un coro di volgarità gratuite, un viscido sentimento di violenza indiretta, il non rispetto dei valori sportivi, un subdolo razzismo strisciante, l’ignoranza al potere, l’umiliazione del fair play.

Ascolto indignato l’onda di inciviltà alzarsi dalla curva di adolescenti e mi chiedo turbato: in Italia chi insegna ai bambini la cultura sportiva?

Non serve intervistare lo psicologo oppure disturbare esperti infantili, non sforziamoci nemmeno di trovare inutili alibi morali, ammettiamo senza false ipocrisie: anche la curva di bimbi andrebbe chiusa.

Sarebbe una dura lezione onde evitare la nascita e crescita dei futuri «mostri».
Il mio professore di Educazione Fisica sarebbe d’accordo, ne sono certo.


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L’inquilino violento fermato con la violenza

Le violenze del vicino

Il mio vicino di casa è un violento.
Anche se non ho le prove, sono convinto che picchia la moglie e maltratta i figli. Inoltre, non rispetta nessuna regola del vivere civile e distrugge il bene comune.

Ho la certezza che non paghi nemmeno le rate condominiali e tra le quattro mura realizzi abusi di ogni tipo.
Siamo tutti d’accordo, è un tipo disumano ma non sappiamo come fermarlo.

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La denuncia, nessun esito

Ho denunciato questo «mostro» all’amministratore che – con la tipica, odiosa calma dei burocrati – gli ha inviato (tardivamente) una prima lettera di ammonimento alla quale non é seguito nessun ravvedimento.

Le azioni malefiche del folle continuano indisturbate.
Sollecitato, è intervenuto anche il parroco del rione; i suoi appelli di pace e gli inviti alle preghiere sono stati raccolti dai credenti ma ben presto sono caduti nel dimenticatoio senza nessun effetto pratico.

Dopo un anno di inutili tentativi, nulla è cambiato ed il delinquente continua a maltrattare la famiglia ed agire indisturbato nel suo torbido privato.

Violenza contro la violenza?

Nessuna azione diplomatica ha bloccato il «mostro» ed oggi – in una infuocata riunione – l’intero condominio si chiede combattuto: è giusto utilizzare la violenza per fermare la violenza?

I falchi spingono per l’intervento del poliziotto di quartiere, un tipo abituato a riportare la giustizia con ogni mezzo.
Pur di raggiungere l’obiettivo, non esita ad usare le manieri forti: “il fine giustifica i mezzi” è la sua ineluttabile regola.
Se necessario è autorizzato anche all’uso delle armi (in questo caso, però, la responsabilità è solo sua e noi persone per bene  lo lasciamo operare indisturbato preferendo non sapere).

Le rassicurazioni giungono puntuali: «l’intervento sarà breve e senza traumi per il condominio» promette il nostro giustiziere solitario.

Le colombe sono in minoranza e – soprattutto – sconfitte dai fatti: nessuna azione pacifica ha avuto successo, non esistono alternative all’uso della forza.

Il poliziotto può agire, con buona pace di tutti.

Guerra in Siria: la violenza fermerà la violenza?


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