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La reazione del tennista

Tennis, sport di vita

Non sono mai stato un asso del tennis, lo possono confermare i miei avversari che – in più di vent’anni di onorata carriera – ho affrontato senza troppe pretese.

I risultati parlano chiaro: giocavo solo per divertimento ed ho appeso la racchetta al chiodo quando il piacere di sudare sulla terra rossa è divenuto prima sforzo e poi noia.

Il tennis, però, mi ha forgiato il carattere: è uno sport singolo e come tale insegna a contare solo su se stessi, riflettere, incoraggiarsi, mormorare tra sé e sé per ritrovare la concentrazione perduta.
Inoltre, presenta una peculiarità unica nel suo genere: il tuo avversario per batterti deve necessariamente chiudere l’ultimo punto.
Anche se conduce 6-0, 6-0, 5-0, 40-0 con servizio a favore ed innumerevoli match-point, la partita non termina finché non completa i tre fatidici set.

E nella storia di questo nobile sport, quanti incontri apparentemente impossibili poi sono stati teatri di epiche rimonte e memorabili vittorie?

Non serve disturbare il re delle statistiche sportive, il mitico Rino Tommasi per rispondere … io stesso ho assistito a tanti “miracoli” in diretta tv.

La reazione

Perché il vero tennista ha tra le sue corde un’arma inconfondibile, una tecnica che non ti insegna nessun coach, un colpo naturale che nemmeno gli allenamenti più faticosi possono migliorare, o ce l’hai oppure è inutile provare ad impugnare una racchetta: la capacità di reagire alle avversità.

Non abbattersi mai, nemmeno quando manca un soffio alla fine del sogno, rialzarsi ed iniziare nuovamente a colpire la palla con la giusta grinta, forza e concentrazione.

Così puoi anche perdere l’incontro – dopotutto la sconfitta è parte dello sport – ma dentro di te sei conscio che hai lottato fino all’ultimo senza mai rinunciare.

A quel punto, il risultato non conta più.

La reazione del tennista, insegnamento di vita

foto di repertorio

Io donatore (di sangue) arrabbiato con un sogno nel cassetto

Solidarietà vs egoismo

«Papà, che vuol dire donazione
«Significa dare un po’ del tuo sangue a chi ne ha bisogno» rispondo a mio figlio, sei anni e tanta curiosità negli occhi.
«Non ho capito» ribatte sconsolato, «perché devi donare?» conclude sorridente.

La solidarietà è un concetto ignoto ai bimbi, l’accetto.
L’egoismo di noi adulti, invece, mi provoca una insana orticaria galoppante: globalmente attenti al nostro (piccolo) mondo, non dedichiamo un attimo dell’esistenza al prossimo.

L’alibi

Maestri nell’autoassoluzione («non ho tempo», «purtroppo devo lavorare», «ho paura dell’ago», «temo infezioni»), ci aggrappiamo ad ogni possibile alibi pur di non donare il sangue.

Eppure, pagare le tasse è un dovere di ogni (onesto) cittadino, donare il sangue invece è un onore (di pochi, purtroppo).

Donare il sangue: come raddoppiare il numero di volontari?

All’ospedale Pascale di Napoli

E così, affranto per non aver coinvolto nessun nuovo donatore come auspicato, questa mattina mi reco al Centro Trasfusionale dell’ospedale Pascale di Napoli per la mia donazione estiva.

Ma quando meno te l’aspetti, la Vita riserva piacevoli sorprese: alle otto del mattino, prima di me, la sala d’attesa del centro è già piena con  undici (11!) volontari pronti per le visite mediche.

Mentre guardo il poster “dedicato agli eroi sconosciuti che donano sangue”, la mia irritazione per non aver portato nessun familiare, amico, collega o parente si placa. La vista della mamma riconoscente mentre abbraccia il piccolino vale più di mille parole.

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Come raddoppiare il numero di donatori

Sui vantaggi (fisici e morali) conseguenti a questo nobile gesto, ho già scritto vari post (cercate “donazione sangue” su questo sito).
Il mio obiettivo, ora, è un altro: se ogni donatore riuscisse ad interessare un nuovo volontario, in breve il numero dei donatori di sangue raddoppierebbe.

La tesi è semplice ed elementare, occorre solo superare l’ignoranza, la diffidenza e la pigrizia di chi ci circonda.

Aiutatemi a sconfiggere questi ennesimi «mostri» già alla prossima donazione.


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