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Tag: linguaggio

Italiano per un giorno

L’inizio

Giunto in ufficio, passo il distintivo nel lettore magnetico che, dopo un attimo, autorizza l’accesso nello spazio aperto.
Raggiungo la solita postazione ed accendo il calcolatore.
Inserisco il nome utente e la parola d’ordine ed entro – anche oggi! – nella rete aziendale.
Lentamente Finestre fa il suo spettacolare ingresso, compaiono le prime iconcine sulla scrivania digitale.
Sono pronto per una nuova, intensa giornata lavorativa.

I due colossi

Apro il programma di posta per leggere i messaggi elettronici, ambasciatori di novità non sempre piacevoli (i tempi sono quelli che sono).
Immagino la felicità di Guglielmo Cancelli: tutte le mattina, negli uffici pubblici e privati, un elaboratore si attiva ed utilizza il suo sistema operativo.
Anche i soci di Stefano Lavori non si lamentano: la Mela è in ogni tasca di milioni di utenti fedeli a Cupertino.

La riunione

Ore dieci: il direttore convoca gli impiegati per una riunione.
I vertici sono cambiati: c’è da illustrare la nuova organizzazione aziendale.
Vengono mostrate una serie impressionante di diapositive, chi è del campo ammetterà senza esitazione che Potenza del Punto è un prodotto eccezionale per visualizzare in modo elegante informazioni noiose o, nel migliore dei casi, inutili.
L’incontro termina con il beneaugurante invito dell’amato superiore: «la mia segretaria vi ha appena inviato un messaggio elettronico con allegato un documento Parola, leggetelo con attenzione. E’ presente una sintesi dei dati, aprite anche l’archivio di Eccellere. Grazie a tutti per l’attenzione».
Sveglio il collega alla mia sinistra che oramai russa e l’invito alla macchinetta del caffè per una pausa ristoratrice.

La sfida

Dopo pranzo, consulto le ultime novità tramite la Rete Mondiale.
Accedo al libro delle facce e depenno duecentocinque amici (o presunti tali) dai restanti duemila e passa, mi disconnetto disgustato e lancio un cinguettio di centoquaranta caratteri ai miei seguaci: «io, italiano per un giorno: quale è il vero significato dei termini in corsivo di questo post?».

La sfida tricolore è lanciata.
Viva la lingua italiana.

italiano per un giorno


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Io, testimone di un incontro ravvicinato del terzo tipo

«Smettila, oggi stai esagerando! Comportati bene o la prossima volta ti lascio dai nonni!» urla l’uomo inviperito.
«E guarda, continua … se non ti calmi I-M-M-E-D-I-A-T-A-M-E-N-T-E ti sbatto in castigo per una settimana» scandisce la moglie col volto rosso dalla rabbia mentre lo fulmina con lo sguardo.
«Non si preoccupi, non c’è problema, sono abituato» cerco di sdrammatizzare.

Il piccolo, intimorito, si rifugia in un angolo.

Sarà l’estate e la voglia di correre negli spazi aperti dopo un inverno chiusi in casa ma in spiaggia i già bollenti spiriti familiari possono esplodere per un nonnulla.

Sdraiato sotto l’ombrellone, osservo le onde del mare mentre leggo e riposo le meningi. I miei vicini, però, sono irrequieti e non trovano pace: lui e lei non riescono a controllare gli istinti animaleschi di quel delicato, fragile e tanto caro mostriciattolo.

Dalle dimensioni microscopiche deduco che avrà due o tre anni ma la vivacità e l’energia propulsiva che consuma in scatti improvvisi mi stupiscono.

«Che età ha?» chiedo più per gentilezza che curiosità.
«Ha due anni ma si porta piccolo rispetto alla media» risponde lei preoccupata.
«Vedrai che recupera, è forte il nostro Ugo!» rassicura lui orgoglioso della sua creatura.
«Ugo? Un nome inusuale per un cane» osservo perplesso.

«BAU BAU BAU» strepita il quadrupede rivolto ai padroni più ansiosi di due genitori in erba.
«Che dice?» mi inserisco sarcastico in questa irreale lite familiare.
«Non puoi andare al mare, l’acqua è fredda e non sono ancora trascorse tre ore dall’ultimo pasto. Devi digerire!» continua lei.
«BAU BAU» risponde Ugo.
«Se ti comporti bene, fra poco facciamo il bagno insieme» sentenzia lui da capofamiglia autoritario.

Ugo, finalmente convinto, si accomoda all’ombra vicino le sdraio del suo papà adottivo.

Rasserenati gli animi, posso continuare la mia lettura di fantascienza e divertito mi chiedo: quale evento galattico è più fantasioso di una conversazione (assurda) tra creature di razze diverse?

incontri ravvicinati del terzo tipo

Il Mistikeis

L’inglese al lavoro

«Mario, c’è un mistikeis nel tuo skill-set. Fasati con gli altri per un upgrade del tool JS e fissa il bug. Poi uplodda il file col tuo know-now e postati un reminder per il briefing via call».

Non riporto un brandello di conversazione tra me ed un esponente della tribù dei Pashtun afghani del Pakistan occidentale ma una frequente richiesta che giunge da qualche mio collega d’ufficio.

Perché l’informatico parla per acronimi ed i termini inglesi spopolano, peggio quando italianizzati oppure pronunciati in contesti inopportuni.

Errori inglesi? Meglio l'italiano

Il mistikeis è dietro l’angolo

Aggiungo un ulteriore aggravio: ogni lavoro presenta il suo gergo linguistico ma la tecnologia è il regno dei termini globalizzati.

Clic, touch, download, app, mouse, whatsapp,chat, tweet, share e like sono comprensibili nel remoto villaggio della regione del Pashtunistan e nei moderni uffici del Freedom Tower di New York.

E poi, durante una conversazione è più fico «ho acquistato un nuovo hard disk dallo shop on-line con PayPal» oppure «ho comprato una memoria di massa in Rete ed ho pagato con la carta di credito»?

L’italiano, per evitare l’errore

Il sottoscritto preferisce esprimersi in italiano, evitare di storpiare le parole, dribblare le sigle ed utilizzare i paroloni stranieri se necessario e nei modi (e tempi) giusti.

Non è patriottismo sfrenato, purismo assoluto o chiusura alla inevitabile evoluzione della lingua di Dante bensì preferisco la bellezza della semplicità al pacchiano, l’immediatezza al prolisso, la linearità all’ambiguità.

Perché l’uso dei vocaboli anglosassoni alla moda crea conversazioni fumose e – se mal pronunciati – si rischia la figuraccia, proprio come indossare un vestito kitsch ricco di colori appariscenti e sgargianti alla festa di beneficenza della parrocchia.

Dopotutto, (anche) il modo di esprimersi è una questione di stile e chi ha gusto evita imbarazzanti mistikeis.

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