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Capodimonte di sera con BeTime, un granello di cultura per bloccare la routine [FOTO]

Il museo di Capodimonte di sera

Una serata al museo, la passeggiata nel weekend … i nostri eventi sono granellini di sabbia che inceppano il grande meccanismo della routine. La cultura per spezzare il monotono meccanismo casa-lavoro-casa […]

Il sottoscritto ed Osvaldo – segretario di BeTime, l’Università del tempo libero – concordano: desideriamo fermare il trita-tempo, occorre agire contro la routine che trasforma le nostre giornate in sbiadite fotocopie tutte uguali.

Aderire agli eventi organizzati dalla nostra associazione culturale, ci aiuta ad affrontare le settimane (lavorative) con maggior entusiasmo.

La visita al museo di Capodimonte è la testimonianza perfetta: serata magnifica in un luogo magico, tra i capolavori di Caravaggio e Tiziano e le mille storie celate dietro ogni opera d’arte.

Un piccolo, importante granellino di cultura per inceppare la mastodontica macchina del tempo.

Il museo di Capodimonte di sera, una magnifica visita con BeTime

Capodimonte di sera, con BeTime e Le Capere

L’evento è organizzato in collaborazione con Le capere, donne che raccontano Napoli.

Rifletto: puoi visitare il museo di Capodimonte dodici volte l’anno ed ogni volta scopri un itinerario insolito, una storia mai ascoltata prima, un’opera che ti colpisce.
Perchè il museo di Capodimonte è meraviglioso – ancora di più in questa calda serata di settembre.

Al sottoscritto, ospite attento, non resta che ascoltare la narrazione della capera, guida professionale ed entusiasta.

E scattare foto, per Voi amici Lettori 🙂

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Capodimonte di sera, la galleria fotografica


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Scuola CAPALC/2, l’ex ecomostro: a settembre la prima campanella. Dopo 41 anni.

Scuola CAPALC/2, apertura cantiere: 1976

L’ex ecomostro sembra un lontano ricordo, oggi la scuola CAPALC/2 è pronta ad ospitare gli studenti di Bagnoli, Fuorigrotta e zone limitrofe.

L’annuncio del sindaco De Magistris (settembre 2016), dunque, risulta vero e chiude un capitolo vergognoso più volte denunciato dai media (con la foto del sottoscritto pubblicata nella rubrica RiFatto de Il Fatto Quotidiano)

Siamo ad agosto 2017.
Sono trascorsi 41 anni dall’apertura del cantiere.

Quarantuno anni per completare un’opera pubblica.
Quarantuno anni di sperpero di fondi statali.
Quarantuno anni di scandali senza un colpevole.
Quarantuno anni di oscenità politiche.

Un cittadino qualsiasi, però, oggi – dopo 41 anni! – si pone alcune elementari domande che meritano risposte convincenti.

La scuola CAPALC/2, ex ecomostro oramai terminata (dopo 41 anni!)

La scuola CAPALC/2 rispetta le norme attuali?

Dopo 41 anni dal primo mattone, possiamo affermare che le aule, i laboratori, le palestre, la mensa, la segreteria rispondano alle norme vigenti?

In un Paese normale, l’osservazione risulterebbe offensiva ma nel nostro caso, dopo quasi mezzo secolo dall’inizio dei lavori, non si può dare nulla per scontato.

Anche in termini di sicurezza: la scuola CAPALC/2 rispetta le nuove regole antisismiche?

La scuola CAPALC/2, ex ecomostro oramai terminata (dopo 41 anni!)

Scuola CAPALC/2, la posizione

La scuola CAPALC/2 sorge nel quartiere Fuorigrotta, non distante da Bagnoli ed Agnano, al confine tra Napoli e Pozzuoli.

La strada – via Terracina – è molto trafficata (c’è anche l’ospedale San Paolo dotato di Pronto Soccorso) e gli unici mezzi pubblici che servono la zona sono gli autobus dell’ANM.

Nei dintorni della scuola CAPALC/2, non è presente nessuna fermata della metropolitana o treno locale.

Perché la città, durante questi lunghi 41 anni, ha cambiato volto.
Mentre i lavori dell’opera pubblica si bloccavano, riprendevano, attendevano nuovi finanziamenti, a Napoli la viabilità ha subito cambiamenti profondi.

Chiedo: oggi, nel 2017, avrebbe ancora senso costruire la scuola nell’attuale zona di via Terracina?

La scuola CAPALC/2, ex ecomostro oramai terminata (dopo 41 anni!)

In cerca di risposte

Da cittadino non assuefatto alle varie «mostruosità», invierò i suddetti quesiti agli organi competenti.

In caso di risposte, vi aggiornerò con tempestività.

Nel mentre, godiamoci il suono della prima campanella emesso dalla CAPALC/2.
Dopo 41 anni, il trillo vale oro.


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Come evitare lo shock da rientro: il consiglio del diretto interessato

Come una rivista estiva

«Ti piacciono i fiori?» SI: continua – NO: vai al punto 5.
«All’asilo piangevi?» SI: continua – A VOLTE: prenditi un altro giorno di ferie – NO: corri in ufficio.

Questo post va letto come uno di quei test presenti nelle riviste estive sotto l’ombrellone.
Leggero, spensierato – per alcuni ha un senso mistico, per molti altri è una perdita di tempo.

Perché prima di rientrare al lavoro, dopo un lungo periodo di vacanze, occorre prepararsi psicologicamente.

Lo shock da rientro colpisce tutti, dunque butta l’oroscopo e continua la lettura.

Un consiglio contro lo shock da rientro

Shock da rientro: il consiglio del sottoscritto

Il weekend prima del giorno X, gioco un euro al Superenalotto.
Una schedina a caso, due colonne di sei numeri qualsiasi generati dal computer della ricevitoria.

Due possibilità su 622.614.630 combinazioni.
Immagino un enorme cesto riempito con 310 milioni palline bianche e solo una rossa.
Ho un tentativo per prelevare dal cesto quell’unica, minuscola, pallina rossa persa nell’infinito bianco.

Impossibile?
Assurdo?

Eppure devo provarci.
Puntare tutto su quella estrazione speciale, la giocata precedente al rientro in ufficio.

Perché succede: alla Dea Bendata piace scherzare e, a volte, premia chi crede in lei.
E, se per assurdo, beccassi quell’unica pallina rossa, ne sono certo: lo shock da rientro diventerebbe l’ultimo dei pensieri.

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Punto 5

A proposito.
Tu torna al lavoro già domani.

Al sottoscritto, invece, piacciono i fiori.
Merito un’altra settimana di vacanza.


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Ferragosto italiano, tre perché (ed una risposta)

Ferragosto, Italia ferma
(come negli anni sessanta)

  • Perché l’esercito dei lavoratori (pubblici e privati) è costretto ad andare in ferie ad agosto?
  • Perché, in Italia, ci comportiamo ancora come negli anni sessanta quando la grande industria regolava i ritmi degli operai?
  • Perché, mentre il lavoro diviene flessibile, la regolamentazione delle ferie resta rigida nel tempo?

Milioni di lavoratori in partenza, tutti nello stesso weekend.
Città vuote, negozi chiusi.
Chi resta, costretto a sobbarcarsi il lavoro dei colleghi vacanzieri.

Al supermercato, la cassiera stressata.
Alla Posta, l’impiegata scorbutica.
Al Pronto Soccorso, il dottore latitante.

Lavorare fino ad estate inoltrata risulta snervante: negli uffici, il nervosismo si taglia con un coltello, ognuno vorrebbe essere altrove.
Eppure, in Italia, continuiamo ad usufruire del periodo di ferie, tutti insieme appassionatamente.

Una regola anacronistica impone ai dipendenti il periodo nel quale spendere le vacanze: dai primi di agosto fino alla settimana dopo ferragosto.

Il ferragosto degli anni 60: le vacanze legate alla catena di montaggio

La regola della catena di montaggio

La piccola utilitaria carica di ogni ben di Dio, la famiglia compressa nella FIAT cinquecento.
Il viaggio è lungo, dal laborioso nord verso il profondo sud.
A salutare i parenti rimasti, per trascorrere l’agognata vacanza.

Ad agosto, la catena di montaggio si ferma: gli operai – e chi lavora nell’indotto – liberi per un mese.

Aveva senso.
Nell’Italia degli anni sessanta.

Oggi, nella società del mordi e fuggi, fermare la nazione – per una settimana! – è un concetto preistorico.

In Italia, la grande industria è praticamente assente.
Il massiccio esercito di operai (moderni), frammentato in mille unità precarie.
Ognuna con regole e tempi diversi, nessuna uniformità, ritmi specifici, diritti e doveri legati al territorio.

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La risposta ai tre perché

Permettere ai lavoratori (pubblici e privati) di consumare le proprie settimane di ferie (due, tre, quattro o cinque) tra il primo giugno ed il trentuno agosto.

Spalmare le vacanze in più mesi, evita:

  • lo stress dei lavoratori costretti a recarsi in ufficio fino ad estate inoltrata
  • il miglioramento della qualità dei servizi offerti in ogni settore
  • gli esodi di massa ed i relativi bollini rossi sulle autostrade italiane (con diminuzione degli incidenti stradali)
  • lo svuotamento delle città e l’azzeramento delle prestazioni (vedi anziani e chi necessita di assistenza)
  • la speculazione dell’alta stagione e lo sfruttamento indegna del turista
  • varie (furti in casa, abbandono degli animali …)

Con questo semplice accorgimento, le aziende (piccole e grandi) non si fermano e raggiungono un doppio obiettivo: soddisfare le esigenze del proprio impiegato, far consumare le ferie al lavoratore come stabilito dal contratto nazionale.

Resta un ultima domanda: in Italia, oggi perché andiamo ancora in vacanza tutti insieme come negli anni sessanta?


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Perché Be Time, l’Università del (nostro) tempo libero

Be Time, cosa offre

Una visita in un luogo speciale, un angolo nascosto di città, un monumento famoso ed un castello sconosciuto, il museo ricco di storia, una gita fuori porta, un viaggio in una capitale europea.

Ma anche un corso di cucina, una lezione di un professore universitario, un workshop, la lettura di un libro, la convenzione con il cinema ed i biglietti scontati del teatro.

Mille idee.
Mille iniziative.

Per spendere e valorizzare il proprio tempo libero.

Amodio D'amodio, Presidente Be Time, l'Università del tempo libero

Be Time, il valore del tempo libero

Be Time, l’Università del tempo libero, è un’associazione di persone che credono nella cultura e nell’intrattenimento.
Perché, a ben pensare, il tempo libero è una risorsa dal valore inestimabile.

Dal lunedì al venerdì il tempo – sempre lui! – vola via.
Come piccoli granelli di sabbia, sfugge tra le dita e si perde tra il vento dei mille impegni professionali e svariati doveri.

Doveri, doveri ed ancora doveri.

Be Time si pone un obiettivo semplice ed importante: spendere al meglio il prezioso tempo libero.

Il logo di Be Time, l'università del tempo libero

Amodio D’Amodio, il Presidente

Amodio D’Amodio è il (primo) Presidente di Be Time.

Un vulcano di idee, capace di coinvolgere intorno ad un tavolo – negli orari più assurdi – un gruppo di colleghi (tra i quali, lo scrivente) per definire lo statuto dell’associazione, nominare il consiglio direttivo, studiare il programma delle prossime iniziative.

Il cimitero delle Fontanelle, il rione Sanità e la casa di Totà prima e la certosa di San Martino poi (ho saltato la visita al monastero di Santa Chiara, mi autodenuncio) i due appuntamenti che hanno aperto la stagione di Be Time.

Il successo (per partecipazione e – soprattutto! – per l’interesse suscitato) dei primi vagiti dell’associazione, sono l’indice dell’entusiasmo : cultura ed intrattenimento, un binomio perfetto per spendere il proprio tempo libero.

Be Time, lA visita al monastero di Santa Chiara

Io, socio (convinto) di Be Time

Il sottoscritto, per amore della cultura e la voglia di costruire un progetto nel quale credere, accetta con convinzione l’invito di Amodio: sono un socio felice di Be Time!

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Be Time, come aderire

Tutte le info ed i futuri eventi, sono pubblicati sull’aggiornata fanpage ufficiale.

Aderire ad un evento è semplice: basta una e-mail, una telefonata o un messaggio.
I costi sono sempre contenuti e l’impegno e la disponibilità massima, come ci si aspetta tra buoni amici.

Mi piace pensare a Be Time come all’Università dalle infinite sorprese.
Per il tuo, il mio, per il nostro tempo libero 🙂


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Mino, ti ricordi quella volta che …

Mino, un mese dopo

Stasera, mentre nuoto, nel silenzio della piscina interrotto solo dalle bracciate, riemergono mille immagini.
Respiro, nuoto, respiro, nuoto: il movimento automatico nasconde la fatica ed aiuta a riflettere.

E’ trascorso un mese da quel maledetto giorno.
Una realtà  impossibile da comprendere ed accettare.

Per chi ti è stato vicino, voluto bene, frequentato.
Ma soprattutto, per chi ti ha amato: la tua famiglia.

A loro va questo post, senza nessuna pretesa, solo un ricordo di chi ha ti conosciuto e non dimentica.

Mino, il ricordo degli amici

Quando ci siamo conosciuti

Mino, non ricordo l’anno esatto.
Il flashback, invece, è nitido.
Forse perché spuntasti da una scatoletta, tu gigante buono racchiuso in una minuscola utilitaria.

Era il 1998 credo.
Un’uscita tra colleghi di lavoro, uno dei primi incontri dopo l’ufficio per rafforzare lo spirito di squadra e conoscersi meglio.

Dopotutto eravamo giovani, neoassunti in EDS – l’importante multinazionale americana dell’Information Technology al pari di IBM – e Caserta era la nostra Silicon Valley.
Ragazzi armati di entusiasmo contagioso, con la voglia di bruciare le tappe, curiosi di scoprire il mondo dopo l’Università.

Quanti eravamo?
Trenta? Quaranta?

A distanza di anni, i ricordi sono sbiaditi.
Però, quel particolare bizzarro, lo rammento bene: BG, la targa della tua mini-auto, la provincia come il tuo cognome 🙂

Mino, i ricordi dei colleghi di lavoro

Annarita, collega di progetto

Filomena e Ferdinando

Eh si, per lui il mondo era diviso in due: da una parte c’erano le Filomene e dall’altra i Ferdinandi!

Quando dovevamo chiamare il collega a Roma per una riunione, Mino ci diceva sempre «allora chiamiamo Filomena e poi a Ferdinando ed organizziamo la riunione» oppure al caffè «chiama a Filomena e dille di venire che si fa tardi».

Non potevi sbagliare quindi, perché il nome della collega te lo ricordavi sempre. 

Ci sono cascata diverse volte, poi alla fine mi sono sentita anche io molto Filomena, perché in fondo è vero, siamo tutti un po’ Filomena e Ferdinando, non ci si può sbagliare!

Mino, rappresentante RSU

Antonello, l’amico di sempre

A machina nova

Eravamo a pranzo e ti arrivò una telefonata di Maria (come al solito): ‘Mino ho preso una botta con la macchina …’ ti disse e tu: ‘Mariaaaaaaaaaaa, a machina nova!!!!’

Al chè io risposi: ‘scusa Mino, ma la tua macchina già ten 3-4 ann, ma è sempr nova? Quando cambia lo status da machina nova a machina e basta ?’.
E tu: ‘Pe me è sempr nova!!!’
Ed io: ‘va buò ja PRUSUTT …. chiedi a tua moglie se sta bene…’.

Mino chiese alla moglie: ‘Ma che s’è fatt ?’
Maria : ‘Io, niente’
Mino: ‘No, tu! A machina!!!!!’

Mino ed Antonello, amici da sempre (e per sempre)

Il pensiero di Paola

Per Maria

Ti prendevamo sempre in giro, Antonello e io, per il fatto che qualunque cosa facessi, dovessi prima avere l’autorizzazione di Maria.

Anche quando facemmo questa ‘reunion’ con i vecchi colleghi, chiamasti Maria … forse per chiederle cosa dovevi mangiare.

E quando dovevi comprare qualcosa?
Prima una telefonata a Maria, la tua autonomia di spesa non andava oltre i dieci euro, come ti rinfacciavamo sempre.

Non potevi fare nulla senza di lei, ci ripetevi sempre, e noi fingevamo di non ammirare la vostra intesa di coppia.

Continua a starle sempre vicino, amico mio …

MIno e Paola, a pranzo - come ogni giorno lavorativo

Angela, i ricordi di 20 anni

Mino, ti ricordi quella volta che…

Quante cose dovremmo ricordare, in questi nostri vent’anni di amicizia.

La festa per il tuo compleanno (forse 1997-1998), a casa tua, periodo di carnevale: nu’ casin’, coriandoli dappertutto che ti sei ritrovato anche dopo anni, torte in faccia, vetro di una porta rotta … che capa frisca che in quei in tempi avevamo.

La festa per il compleanno mio (forse 1998 o 1999): c’erano anche dei nostri colleghi EDS americani e tu che raccontavi le barzellette in napoletano e c’era chi traduceva per te.
Ad un certo punto però della barzelletta tu avresti dovuto dire “bell’ e buon’, ti fermasti, bloccasti la persona che traduceva e dicesti, adesso voglio tradurre io in inglese:”good and beatiful”.

E di quella volta che mi chiedesti di organizzare una cena a casa mia, con i nuovi assunti EDS, perché tra questi c’era Maria e Maria che si presentò con la cugina, del tipo “io, mammat’ e tu” e tu che ci rimanesti male.

E quando mi chiamasti dall’isola d’Elba per dirmi della bella novità, del tuo “fidanzamento” con Maria.

Del tuo matrimonio, del vostro matrimonio, della tua felicità, della vostra felicità … 

E delle volte che raccontavi di tua madre, vita reale trasformata in una continua barzelletta.

E a proposito di barzellette, quante volte ti ho “costretto” a raccontare “sempre”, “sempre” la stessa barzelletta, quella dei francescani e gesuiti che tu solo sapevi raccontare, ancora adesso io non saprei dopo tante volte.

Ti ricordi, ti ricordi, ti ricordi … un’infinita catena di ricordi, come vorrei che non fossero più solo questi …

Sei nel mio cuore, nella mia testa e lo sarai sempre.

Cia’ cia’ amico mio sce’

Mino ed Angela, amici da vent'anni e mille ricordi

 

Napoli-Copenaghen, un viaggio di duemila chilometri. In bici

Duemila chilometri in bici

Un anno dopo, con tenacia e passione, senza mai rinunciare a pedalare – nonostante i pericoli nascosti ad ogni metro.
Duemila chilometri percorsi, in sella alla mia e-bike.
Duemila chilometri, la distanza che separa Napoli da Copenaghen.

Festeggio il prestigioso traguardo al Centro Direzionale di Napoli: per la precisione, 2015 km, come segnala il display del computer di bordo.

In bici, duemila chilometri. Festeggiati al Centro Direzionale di Napoli

A Napoli non piove mai

Il record dei primi 1000 KM è un lontano ricordo.
Messa da parte l’auto, le statistiche parlano chiaro: nell’ultimo anno, ho pedalato per undici mesi.

Costretto a parcheggiare la bici solo nel giorni di pioggia (concentrati perlopiù nello scorso gennaio), il freddo – quello vero – dalle mie parti non si sofferma a lungo.
Il clima napoletano incentiva l’utilizzo della bici che, però, è un mezzo di trasporto ancora poco utilizzato.

La mattina, libero sulle due ruote, viaggio verso l’ufficio ed osservo l’espressione rabbiosa degli autisti bloccati nei maxi-ingorghi: gli occhi sprizzano odio.
Assuefatti all’uso della macchina anche per comprare il pacchetto di sigarette sotto casa, non immaginano l’eco-alternativa.

Un discorso culturale, è indubbio.
A Copenaghen, ad esempio, il meteo è certamente più rigido eppure i ciclisti metropolitani costituiscono un esercito potente e numeroso.

Con soddisfazione, però, constato: a Napoli, non sono solo.
La truppa di pendolari in bici – seppur esigua – cresce in modo significativo.

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Il viaggio di ritorno

Duemila chilometri, raggiunta Copenaghen è già pronto il successivo obiettivo: tornare a casa.

Un viaggio privo di inquinamento, per apprezzare angoli di città nascosti, osservare scene di vita quotidiana, non incrementare lo smog cittadino, non partecipare al gran caos acustico tra clacson impazziti e motori ruggenti.

Pedalare in città è un buon rimedio per lo stress d’ufficio, uno sport a costo zero, aiuta a vivere meglio.
Una scelta (coraggiosa) alla quale, dopo il primo metro, non rinunci più.

Salgo il sella ed il viaggio inizia.
Mi attendono altri duemila chilometri, il nuovo record è dietro l’angolo.
A portata di pedalata.

Basta crederci 🙂Duemila chilometri in bici, pari alla distanza tra Napoli e Copenaghen.


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Perché leggere «Adriano Olivetti. L’utopista concreto» di Carlo Mazzei (recensione)

Adriano Olivetti, il filantropo

«… un complesso di abitazioni per gli operai, con tanto di asilo nido e scuola materna condotti con metodi all’avanguardia, villette a schiera per gli impiegati nei pressi della nuova fabbrica, a sua volta costruita ex novo, con le grandi vetrate divenute famose, a testimonianza della vocazione verso l’esterno, a contatto con la natura e la campagna circostante, con i grandi spazi aperti inondati di luce».

Adriano Olivetti. L’utopista concreto di Carlo Mazzei è un libro da leggere con attenzione per assaporare ogni singola azione di’uomo unico nella storia d’Italia.

Un industriale di successo – ed i profitti eccezionali della Olivetti lo attestano – che poneva l’uomo al centro della fabbrica, intesa come mezzo per migliorare l’ambiente circostante e la vita di ogni singolo operaio.

La filosofia futuristica di un imprenditore vincente che ben presto portarono l’Olivetti ai vertici europei: basti pensare che, nel pieno boom anni sessanta, ad Ivrea lavoravano 10 mila dipendenti (su 22 mila abitanti) e a Pozzuoli 1500.

Adriano Olivetti, imprenditore e filantropo: l'uomo al centro della fabbrica

Prima di Google e Steve Jobs

« … lo stipendio di un impiegato Olivetti era mediamente il 20% più alto di un metalmeccanico di un’altra industria, orari meno pesanti (45 ore invece di 48), sabato libero, più giorni di ferie, permessi speciali per gli operai che avevano campagne nei tempi delle raccolte, facilitazioni per le operaie in maternità (tre mesi prima e sei mesi dopo il parto retribuiti più un contributo economico straordinario), colonie estive per i figli dei dipendenti, permessi di studio anch’essi retribuiti, mense aziendali rifornite direttamente dal centro agrario di proprietà.
La fabbrica era dotata di biblioteca, erano previsti incontri con intellettuali, allestite mostre negli spazi della fabbrica, proiezioni di film …»

Sono solo alcuni benefici garantiti da Adriano Olivetti ai suoi dipendenti.

Da evidenziare il contesto: siamo nell’Italia degli anni sessanta e dibattiamo di diritti che oggi – nel ventunesimo secolo – sono ad appannaggio di poche realtà industriali (forse Google ed affini?).

Perché leggere il libro di Carlo Mazzei

L’opera di Carlo Mazzei sulla vita di Adriano Olivetti è appassionante: dalla nascita ad Ivrea fino ai viaggi americani, per conoscere la realtà industriale nel mondo (visitò, ad esempio, gli stabilimenti della Ford).

Una parte del libro è dedicata all’avventura politica di Adriano Olivetti.
Il progetto da lui ideato – definito utopistico dai partiti di allora – era troppo innovativo per essere compreso.

Fu, ovviamente, stroncato da tutti i partiti e costretto a ritirarsi dalla politica nazionale e locale (fu eletto sindaco di Ivrea oltre che parlamentare della Repubblica).

Ecco come definì i partiti ed il Parlamento di allora:

Alla fine del fascismo la maggior parte degli intellettuali vedeva nei partiti uno strumento di libertà. Io no. Sono organismi che selezionano personale politico inadeguato. Un governo espresso da un Parlamento così povero di conoscenze specifiche non precede le situazioni, ne è trascinato. Ho immaginato una Camera che soddisfi il principio della rappresentanza nel senso più democratico; e poi sappia scegliere ed eleggere un senato composto delle persone più competenti di ogni settore della vita pubblica, della economia, dell’architettura, dell’urbanistica, della letteratura

Adriano Olivetti. L’utopista concreto di Carlo Mazzei, lettura consigliata per conoscere la vita di un uomo eccezionale.

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In bici per Napoli: consigli per sopravvivere e pericoli da evitare

Il segreto: la freddezza

  • non perdere mai la calma
  • distaccati dal contesto
  • pedala, osserva, sii freddo

Perché il pericolo è in agguato.
Sempre.
Soprattutto se ti sposti in bici per Napoli, città priva di cultura a due ruote.

Pedalare a Napoli: cinque consigli e periocoli per il ciclista metropolitano

Il nemico del ciclista in città? Il panico

Avvilito dopo le prima pedalate, pensavo fosse impossibile recarmi al lavoro utilizzando la e-bike (a pedalata assistita).
Superati i primi scoramenti, dopo i primi 1000 KM, viaggio con sicurezza.

E con soddisfazione.

Oggi non rinuncio mai alla comodità della bici (solo la pioggia mi costringe alla metropolitana, l’asfalto viscido è il pericolo numero uno).

L’esperienza forgia ed è l’arma migliore per respingere il «mostro» che, ad ogni metro, attacca l’eroico ciclista metropolitano.
Come?
Conservando la calma.
Sempre.

Bloccato in un ingorgo, quando evito un motorino sparato a tutta velocità controsenso, mentre un scooter sorpassa a destra incurante di ogni regola.
Non cedo mai al panico.

Freddo, distaccato, supero l’ostacolo, continuo, avanzo, giungo alla meta.
Nessuna reazione, emotività zero.
Cinico, determinato, convinto: il giusto sono io in bici, l’anormale sei tu sullo scooter in zigzag o bloccato in auto.

Organizzato è meglio: i consigli utili

La freddezza è necessaria ma alcuni accorgimenti per attraversare la giungla metropolitana in bici sono necessari:

  • indossare il casco
  • utilizzare una maschera antismog
  • viaggiare osservando la giusta distanza tra le auto (per evitare l’apertura improvvisa dello sportello) ed il centro strada
  • rispettare i semafori (in generale, tutte le regole stradali)
  • percorrere traiettorie lineari e non cambiare direzione in modo repentino
  • utilizzare le braccia come “frecce” per indicare a chi ci segue il cambio di direzione

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I pericoli per il ciclista metropolitano

I pericoli più frequenti da affrontare?

  • l’apertura improvvisa dello sportello di un auto parcheggiata o bloccata nel traffico
  • i binari del tram (mai infilarsi ma tagliarli obliqui)
  • i fumi di scarico dai tubi di scappamento di bus, scooter, moto, auto

Eppure, nonostante i mille pericoli, pedalare per Napoli permette di vivere appieno la città, scoprire angoli dimenticati, rilassarsi dopo una intesa giornata di lavoro.

Basta convinzione e determinazione.

Se un giorno la paura prenderà il sopravvento, resterà solo una scelta: parcheggiare la bici in garage.
Ma, per il sottoscritto, non accadrà.

Io, ciclista metropolitano


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Maticmind Napoli, buon (primo) compleanno!

15 ottobre 2015 – 15 ottobre 2016

Il 15 ottobre Maticmind Napoli festeggia il primo anno di vita.
Siamo sempre noi, gli ex centoventi dipendenti di HP Pozzuoli trasferiti dalla sede campana della multinazionale americana presso la filiale partenopea della società milanese (l’intera, drammatica vicenda è raccontata nell’ebook gratuito Gli ultimi giorni di HP Pozzuoli).

Dopo un anno, come procede la vita in Maticmind?
Quale futuro ci attende?

Inaugurazione di Maticmind Napoli

Maticmind Napoli, il primo chilometro

Il percorso è lungo, pieno di insidie ed il traguardo ad una distanza inimmaginabile.
Però abbiamo percorso il primo chilometro.
Con una casacca diversa, uno stile nuovo, superiamo già i primi mille metri.

Un traguardo insignificante oppure un risultato importante?

Il primo chilometro, in una maratona di cento chilometri, può non significare nulla oppure essere fondamentale.

Quale futuro per il neonato?

Oggi, con una sola candelina sulla torta, non riesco ad immaginare quale tragitto seguiremo nel prossimo futuro.

Il neonato è ancora troppo piccolo per comprenderne il destino: sarà un giovane pieno di entusiasmo, forte, intelligente ed indipendente?
Oppure – e nessuno se lo augura – crescerà pigro, privo della forza per staccarsi dal cordone ombelicale di mamma HP e vivrà sotto l’ombra (e la continua minaccia) dell’ingombrante passato?

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Il sondaggio: credi nel neonato?

Il primo chilometro è andato.
Giunti al traguardo – stremati per la distanza percorsa, le insidie affrontate, i tradimenti di chi avrebbe dovuto tutelarti, la fatica della gara affrontata giorno per giorno, ci guarderemo indietro.

Solo allora stabiliremo se quel 15 ottobre 2016, il fatidico primo chilometro, sarebbe stata una tappa da ricordare oppure una bolla di sapone.

E tu, come lo vedi il futuro di Maticmind Napoli?
Vota il sondaggio

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SOLO OGGI 17 ottobre 2016 DOWNLOAD GRATIS

(ps: i ricavati li devolverò in beneficenza)

… oppure scarica gratis il PDF


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Napoli, i miei primi 1000 KM. In bici

1000 KM, primo traguardo

Il millesimo chilometro scatta a Materdei mentre supero di gran carriera il gigante verde dalla bocca spalancata.

La pedalata scivola veloce, la gamba allenata non teme più la salita che all’esordio spaventava.

Guardo il numero a tre zeri.
Inspiro soddisfatto.

I miei primi 1000KM. In bici. A Napoli

Nonostante tutto, 1000 KM!

Una boccata di puro smog invade il sottoscritto, coraggioso ciclista napoletano.
Davanti, un ingorgo blocca la strada: l’enorme autobus pubblico sbuffa fumo nero maleodorante.
Non può procedere, un auto parcheggiato in doppia fila impedisce il passaggio.

Pochi istante e la coda di mezzi bloccati cresce a dismisura.
Un esercito di automobili, lo sciame impazzito di motorini, qualche bicicletta: ognuno cerca una via di fuga per saltare l’ostacolo.

L’orchestra di clacson inizia il concerto di protesta.
Dopo pochi minuti di ordinaria follia metropolitana, la strada miracolosamente torna libera.

Lascio sfogare i «mostri» urbani.
Osservo ancora il display: 1000 KM!

Quanto non ho inquinato

Il conto è servito:

  • con un litro di diesel/benzina, percorro 15 km. in città
  • per 1000 KM servono (più o meno) 67 litri di carburante

Sottraggo all’inquinamento cittadino 67 litri di idrocarburi, una piccola e grande quantità di smog non generato.
Non partecipo al concerto dei rumori assordanti prodotto dal milione di veicoli che strombazzano per Napoli.
Non occupo spazio prezioso tra i pendolari schiacciati come sardine in metropolitana o negli autobus.
Fornisco l’esempio: l’alternativa esiste.

Una piccola goccia nell’oceano?
Però una goccia pulita.

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1000 km. di casa-lavoro

La bici (a pedalata assistita) come mezzo di trasporto.
Le due ruote per raggiungere il luogo di lavoro.

Napoli non è ancora una città per ciclisti, le difficoltà sono evidenti ed i pericoli ti minacciano ad ogni pedalata.

Eppure pedalo.
In città.
A Napoli.

E con un pizzico di volontà, puoi pedalare anche tu.
Basta iniziare, poi non ti fermi più.

Ci vediamo tra 1000 km.

Fotogrammi deii miei primi 1000 KM in bici


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I colori del murales di Bagnoli

Murales di Bagnoli, se non ci fosse?

Se il muro non fosse dipinto con i colori della fantasia sarebbe un’opera anonima.
Si ridurrebbe all’ennesima parete amorfa mangiata dai fantasmi dell’Italsider.

Perché a Bagnoli, prigioniera da sempre del «mostro» siderurgico per antonomasia, la vivacità dei murales rappresenta una boccata d’aria fresca.

Come accade a Materdei, anche il disegno all’entrata della stazione della cumana di Bagnoli, strappa un sorriso.

Anzi,una meritata fotografia.

I colori del murales di Bagnoli

Scuola e lavoro

Conosco bene Bagnoli.
Una manciata d’anni fa, a pochi passi dal murales, frequentavo le scuole superiori.
Mi licenziai dall’allora VIII ITIS (oggi Augusto Righi) con un immeritato voto (il tempo ha rimediato all’ingiustizia).

Negli anni duemila tornai per lavoro: la sede dell’HP – la multinazionale americana per la quale  operavo – a pochi chilometri dal murales (le drammatiche vicende HP conservate nell’ebook gratuito «Gli ultimi giorni di HP Pozzuoli»).

Io e Bagnoli, legati da un filo rosso

Un lungo filo rosso lega il sottoscritto a Bagnoli.

Dieci anni con la testa nel monitor a scrivere software e scovare bug.
Dieci anni significano mille pause-pranzo consumate (con estrema soddisfazione) nelle pizzerie del quartiere.

Un filo rosso fumante, saporito che non spezzerò mai 🙂

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L’arte sostituisce la bonifica

In attesa della bonifica dell’intera area sempre promessa e mai realizzata, i murales contrastano la polvere sputata dal «mostro» che, come una sentinella malata, sovrasta il quartiere.

Le matite colorate contro l’inefficienza della politica (locale e nazionale).
L’arte contro il degrado (urbano e morale).
I murales contro l’ex Italsider.

Finché c’è colore, c’è speranza.


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