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Beppe Bergomi: perché leggere la sua biografia [RECENSIONE]

I (veri) valori di Beppe Bergomi, lo zio

Bella zio. Il romanzo di formazione di Beppe Bergomi scritto da Andrea Vitali, racconta un sogno realizzato.
Il sogno di un bimbo di Settala, un paesino a pochi chilometri da Milano.

Siamo negli anni 70, infanzia felice, famiglia perbene, sani principi e tanta voglia di giocare a calcio.

E così. tra le marachelle del piccolo Beppe (sempre educato, sin dalla tenera età), la polvere dei campi dell’oratorio, le pedalate nelle cascine milanesi, gli esordi nella squadra del paese, la poca passione per la scuola, i primi tornei, entriamo a far parte della famiglia Bergomi.

Un nucleo unito intorno al padre e lo zio soci nell’autorimessa di famiglia, la madre – silenziosa e presente, il fratellone Carlo protettivo e primo tifoso del futuro Campione del Mondo.

Bella zio. Il romanzo di formazione di Beppe Bergomi [RECENSIONE]

Una biografia diversa e profonda

Aneddoti, confidenze, riflessioni: Bella zio sorvola (volontariamente) partite, competizione, risultati.
Il bravo Andrea Vitali, invece, approfondisce la cultura dello sport che da sempre caratterizza un vero atleta.

Ecco la forza di Bella zio, una biografia diversa e profonda, con un esplicito significato: un sogno lo realizzi solo se ci credi, ti impegni al massimo, lo costruisci allenamento dopo allenamento, rispetti l’avversario.
Regole di sport, regole di Vita.

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Per chi conosce il Bergomi telecronista

Un’osservazione è necessaria: risulta quasi impossibile per chi – come il sottoscritto – conosce il Bergomi telecronista, associare l’eleganza del racconto con la voce del protagonista.

E non perché l’ex giocatore sia incapace di utilizzare un linguaggio forbito.
Il motivo è un altro: Andrea Vitali è bravissimo.
Trovo la forma utilizzata dallo scrittore davvero elegante, impossibile da collegare alla narrazione in prima persona del giovane Bergomi.

La definirei una innocente dissonanza letteraria.
Oppure, quella naturale discrepanza tra un dolce ricordo e la realtà.
Proprio come nei sogni.

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41 gradi: il caldo inverno napoletano

Napoli Campione d’Inverno

L’inverno napoletano è caldo.
Il termometro segna 41 gradi.

La sciarpa ed il cappello giacciono nell’armadio dal quel lontano dicembre del 1989.
Il letargo dura da ventisei anni, finalmente è giunto il giorno tanto atteso.

I 41 gradi, frutto di una stagione pazzesca, generano una valanga azzurra che travolge lo stivale.

A Milano e Torino sono abituati alle nevicate, fiocchi bianchi tutti eguali.
Da noi invece la neve è evento raro ed ha un colore speciale: è blu.

Quando cade – prima d’oggi, solo tre volte nella storia – è un’immagine indelebile da tramandare ai posteri.

Sarari e l'inverno napoletano da 41 gradi

La primavera napoletana

Nell’entusiasmante inverno, mentre il ciuccio continua a volare, la lupa sembra un agnellino impaurito, il giglio appassito soffre l’altezza, il diavolo spuntato è più docile di un angioletto.
Resta l’instancabile zebra, resuscitata dalle ceneri autunnali, corre veloce.

Vedremo come andrà a finire.
I conti li tireremo in primavera.

Per ora tiro fuori la sciarpa ed il cappello azzurro.
Questo dicembre bollente da 41 gradi va festeggiato.
L’inverno del  ’90 lascia ben sperare.

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