«Di cosa ti occupi?»: la stupida domanda da non porre (e la risposta che sogno)

«Di cosa ti occupi?»: la stupida domanda da non porre (e la risposta che sogno)

4 Aprile 2025 0 Di mariomonfrecola

«Di cosa ti occupi?»: quando il lavoro identifica una persona

Dopo la presentazione – «piacere, Mario Monfrecola» – scatta la solita domanda: «e di cosa ti occupi?».
Una domanda, per il sottoscritto, incomprensibile, da evitare, sgradevole (e, in alcuni casi, anche generatrice di imbarazzo).

Perché il lavoro identifica la persona?
La professione é un elemento per qualificare (giudicare) chi abbiamo di fronte?

«Sono un idraulico», «lavoro in banca», «insegno», «pensionato» … devo dedurre che, vista la frequenza del quesito – in genere, scatta dopo nome e cognome – la nostra opinione é influenzata dal mestiere dell’interlocutore.

Eppure, se ognuno fosse libero di scegliere, dedicherebbe parte della sua giornata al lavoro?
Oppure spenderebbe il proprio tempo in ciò che più l’appassiona?

E allora, per capire che tipo di persona ci troviamo davanti, invece della professione sarebbe più opportuno chiedere: «quali passioni segui?», «come ami spendere il tuo tempo?», «ti piace viaggiare?».

«Di cosa ti occupi?»: la stupida domanda da non porre (e la risposta che sogno)

La risposta che sogno

«Non lavoro, sono milionario».
Appena vincerò il SuperEnalotto (dai miei calcoli, basta un milione di euro per licenziarsi e vivere felici) ho già pronta l’opportuna risposta alla domanda senza senso che, prima o poi, mi verrà posta.

L’essere un disoccupato quale opinione genererà nel mio interlocutore?
Sono un fallito?
Non riesci ad inquadrarmi senza un’occupazione?
Oppure, togliamo il velo di ipocrisia e dichiariamo il vero: giudichiamo una persona dai soldi.

La professione – nel ventunesimo secolo, nella nostra moderna società occidentale – è uno stato sociale, indica quale gradino occupi nella piramide del successo (e quindi, dell’approvazione).
Lavorare produce profitto e con i soldi puoi acquistare oggetti, comprare la Tesla, cambiare lo smartphone, riempire la casa di cianfrusaglie, circondarti di accessori.
Anche se il nostro lavoro non ci gratifica e aspiriamo ad altro, ben presto diveniamo l’anello di una catena, l’ingranaggio di un sistema globale sempre in moto, un sistema nel quale restiamo imprigionati.

Ma, con i soldi, non puoi comprare il tempo.
Non puoi realizzare il sogno che rimandi al giorno dopo.
Non puoi tornare indietro e recuperare quell’attimo perduto.

«E allora, di cosa ti occupi?».
Del mio tempo.





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